Partito di Alternativa Comunista

Un giorno in pretura

La triste parabola del ferrandismo
 
di Valerio Torre
 
Mi accingo a redigere queste poche righe con un certo patema d'animo: col timore, cioè, di essere prossimamente costretto a sedere sul banco degli imputati in Tribunale, trascinatovi semmai in catene insieme al segretario dei Ds, Piero Fassino.
No, non è uno scherzo. Qualche giorno fa Marco Ferrando ha scritto una lettera a Fassino preannunciandogli l'intenzione di querelarlo se egli non avesse rettificato un'affermazione espressa nella trasmissione Matrix.
Cosa ha detto il deputato diessino di così offensivo da ledere -lasciamo parlare Ferrando- "la mia immagine politica e umana, nonché: quella della mia corrente politica"? Fassino ha dichiarato che la revoca della candidatura al Senato di Ferrando avrebbe trovato origine nell'avere egli sostenuto la parola d'ordine "dieci, cento, mille Nassyria". Nel dolersi della "falsità dell'affermazione", il mancato senatore ha evidenziato: "in tutti i miei interventi: ho sempre preso con chiarezza le distanze da tale slogan, che non appartiene né a me né alla corrente politica : di cui ho l'onore di essere il portavoce".
Come se non bastasse, un'accreditata fonte d'interpretazione autentica del pensiero di Ferrando - qual è Franco Grisolia - ne ha ribadito l'opinione in una lettera a Liberazione del 28 marzo scorso: "Ferrando ha più volte chiarito di non condividere tale slogan, dichiarando che esso, apparentemente radicale, è in realtà subordinato al terrorismo fondamentalista".
 
Subordinazione sì, ma :
È evidente che la realtà viene, in tal modo, completamente rovesciata: accettando questo terreno di discussione, è stato proprio Ferrando a subordinarsi alla destra e alla borghesia "progressista" che hanno fatto fronte contro di lui, invece di combatterle a viso aperto sul terreno dei principi dell'internazionalismo proletario. Già: perché, contrariamente a ciò che il mancato senatore pensa, quello slogan non rappresenta affatto le istanze del "terrorismo fondamentalista", bensì - nella migliore tradizione del movimento operaio internazionale - l'auspicio delle maggiori perdite possibili per l'imperialismo, foss'anche quello italiano. E poi: considerando che l'attentato ha avuto come obiettivo la caserma di un esercito occupante (e non già un ospedale, o una scuola, od un mercato), perché prenderne le distanze proclamando di non condividere lo slogan che ne costituisce icasticamente la rappresentazione? Non è forse che, così facendo, Ferrando prende le distanze anche dalla difesa incondizionata della resistenza irakena e dal suo diritto di resistere in armi all'occupazione militare?
In realtà, Ferrando ha accettato questa surreale discussione con gli alfieri dell'imperialismo nostrano - e lo ha fatto giocando, per di più, sulla difensiva - allo scopo dichiarato di dimostrare al mondo intero che egli è portatore di quella "pietas" che Bertinotti invece non gli aveva riconosciuto.
Ora, a parte il rilievo che il concetto di "pietas" non sta affatto ad indicare il sentimento della "pietà", ma, nell'antica civiltà latina, quello della dedizione, del rispetto e della venerazione verso gli dei, la patria e la famiglia, cioè verso la tradizione (e, per questo, sia Bertinotti che Ferrando andrebbero rimandati a settembre in latino!); a parte questo risvolto filologico, dunque, l'intenzione del mancato senatore era quella di tentare di salvare per il rotto della cuffia la propria candidatura dando una rappresentazione di sé diversa da quella che emergeva dalla stampa: cioè quella di un uomo pietoso verso i morti in divisa e non già di un : sanguinario trinariciuto.
Tuttavia, se è sicuramente criticabile, per chi si proclama marxista rivoluzionario, l'utilizzo della giustizia borghese per dirimere uno scontro politico con un avversario di classe, lo è ancor di più nel caso in questione in cui Ferrando respinge con sdegno anche la sola ipotesi - che ritiene una "lesione dell'onorabilità politica" - dell'accostamento della sua persona ad uno slogan che, come appena detto, rappresenta anzi l'auspicio della sconfitta sul piano militare dell'imperialismo. Messa così, verrebbe da dire: noi siamo invece "onorati" di condividere uno slogan così "disonorevole": lasciamo a chi lo respinge - in compagnia della sinistra guerrafondaia progressista -  tutta la sua "onorabilità" da spendere ieri nel tentativo estremo della negoziazione elettorale con Bertinotti, oggi per guadagnarsi un trafiletto sui giornali (querelare Fassino fa notizia...).
 
Una chiave di lettura più ampia: dal leaderismo al settarismo centrista
Ma questo estremo tentativo - poi rivelatosi inutile - di difendere la candidatura deve essere letto in un quadro più complesso, segnato da quello che appare essere il tratto caratteristico dell'Associazione di Ferrando: non la volontà di rifondare una forza rivoluzionaria, bensì la propensione al leaderismo carismatico a fronte di una base acriticamente plaudente in una struttura ultracentralizzata. Né in occasione dell'acquisizione della candidatura, né durante la breve fase della sua gestione, né in quella segnata dal tentativo di conservarla, né infine durante il tentativo di recuperarla, in nessuno di questi momenti l'attività politica dei militanti dell'Amr ferrandiana si è dispiegata nello sviluppo della costruzione della struttura e di un solido tessuto di quadri, ma è stata invece esclusivamente centrata sulla candidatura stessa, che ha rappresentato l'unico ed assorbente obiettivo, a scapito di tutto il resto.
Anche dopo il siluramento, Ferrando ha sviluppato tutta l'attività politica sua e della sua organizzazione intorno al tentativo di rientrare nelle liste attraverso una sovraesposizione mediatica durata finché c'è stato l'interesse giornalistico per la vicenda: dopodiché, finita la ribalta nazionale, l'unico spazio rimasto è stato in qualche apparizione televisiva su canali regionali in compagnia di dirigenti di secondo piano della Lega Nord e della Dc di Rotondi (è avvenuto qualche giorno fa in un dibattito moderato da... Funari) 
e, se davvero querelerà Fassino, sulle scene di "Un giorno in Pretura" (ovvero: da Palazzo Madama a : Palazzo di Giustizia).
Se questi sono i criteri utilizzati per la costruzione dell'Amr, si comprende ancor meglio che non c'erano più margini per lo sviluppo di una struttura comune e che la rottura che ha poi portato alla nascita di Progetto Comunista - Rifondare l'Opposizione dei Lavoratori era inevitabile. Due anni di discussioni all'interno degli organismi della vecchia associazione sono stati segnati da un'irreversibile deriva leaderistica che è poi culminata nella vicenda della candidatura, esito naturale di quella deriva.
La nostra scelta, tanto più oggi di fronte all'involuzione dell'organizzazione di Ferrando, si è rivelata quella giusta nella direzione della rifondazione di una forza rivoluzionaria realmente anticapitalista, dotata di un programma transitorio che le consenta di stare nelle lotte legando gli obiettivi immediati alla prospettiva socialista; e non già, al contrario, di una setta - l'ennesima - intorno ad un "guru" (siamo arrivati al punto che alla manifestazione a Roma contro la guerra i militanti del gruppo di Ferrando portavano cartelli con slogan... su Ferrando; mentre la foto del leader viene stampata sui volantini che pubblicizzano le loro iniziative...).
Ad oggi non è dato pronosticare quale sarà la futura collocazione di Ferrando rispetto al Prc. Tuttavia, è sicuramente possibile sostenere che qualunque sarà la sua scelta nella prossima fase - interna od esterna al partito - il cammino tracciato per la sua organizzazione dalla deriva leaderistica che l'affligge va esattamente nella direzione di una struttura settaria costruita intorno a una Guida e connotata da elementi di centrismo.
 
Tanta ambiguità, ma una sola cosa certa
D'altro canto, proprio perché al leaderismo non è connaturata la chiarezza, va rimarcato che quella candidatura era nata - ed è poi tramontata - all'insegna dell'ambiguità su un punto centrale: il voto di fiducia al governo Prodi. In ogni intervista, in ogni dichiarazione, Ferrando ha sempre risposto elusivamente, trincerandosi dietro imbarazzanti formule che non scioglievano un dubbio tanto più stringente in quanto proprio la maggioranza dirigente del partito aveva dichiarato che dai candidati esponenti delle minoranze erano state ottenute garanzie appunto sull'adeguamento alla disciplina parlamentare in sede di voto di fiducia.
Insomma, la sua personale campagna per l'Unione, attraverso l'appello al voto per il Prc e le candidature di otto dei suoi, Ferrando l'ha fatta e continua a farla rifiutando di rompere realmente con Prodi, ed anzi assicurandogli l'impegno militante della sua organizzazione nella campagna elettorale
L'unica cosa certa è che gli eventi hanno dato in modo inequivocabile quella risposta che lui stesso per settimane si è rifiutato di fornire: è sicuro, suo malgrado, che Ferrando non voterà la fiducia a Prodi in Senato!

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