Partito di Alternativa Comunista

La politica di Conte e la pietra filosofale di Confindustria

La politica di Conte

e la pietra filosofale di Confindustria

 

 

 

di Alberto Madoglio

 

 

 

 

Insieme alla fase 2 varata dal governo Conte, una più pericolosa fase 2 per i lavoratori si staglia all’orizzonte.
La prima fase 2 è quella che vuole far credere che il peggio per quanto concerne la diffusione del virus Covid sia ormai alle spalle, e che quindi tutto, seppur con prudenza, possa in breve tornare alla normalità. Una normalità fondata sulla necessità da parte della borghesia italiana di tornare a produrre a pieno ritmo, per aver modo di ricominciare a macinare profitti e tentare di arginare gli effetti di una crisi economica che col passare dei giorni si prevede possa avere effetti catastrofici.
Per i lavoratori vuol dire avere grandi probabilità di infettarsi sia sul posto di lavoro, sia utilizzando i mezzi di trasporto nel tragitto casa-fabbrica (o ufficio).
Gli effetti di una molto probabile seconda ondata li vedremo a breve, ma possiamo immaginare che anche questa volta saranno drammatici come la prima, se non di più.

 

Una ricetta già provata: sacrifici senza fine ma solo per i proletari

Dicevamo però che si sta preparando un’altra fase 2, non legata alla diffusione del virus e alla ripresa della produzione, ma alla volontà di far pagare il costo della crisi economica che solo ora inizia a palesarsi in tutta la sua ampiezza, alla classe lavoratrice.
I parziali e tardivi tentativi di fermare la diffusione dell’epidemia hanno prodotto un’amplificazione degli effetti di una recessione che, a livello mondiale, era prevedibile già dalla fine del 2019.
Travolto dagli eventi, il governo Pd - M5s è stato costretto a far saltare ogni regola di prudenza legata agli equilibri di bilancio pubblici. Centinaia di miliardi di euro saranno immesse nei prossimi mesi nell’economia italiana. Per la maggior parte non si tratterà di immissioni dirette di denaro, ma prevalentemente di garanzie pubbliche. La porzione più significativa di questa immensa “torta” sarà a beneficio delle imprese private: tagli fiscali, agevolazioni di vario tipo, aiuti per le ristrutturazioni aziendali ecc.
Tutta questa serie di interventi, legata al crollo dell’economia che per il 2020 si prevede tra il 9 e il 10%, farà salire il debito pubblico all’impressionante rapporto del 160% rispetto al Pil. Ed è in previsione di ciò che gli ideologi del sistema capitalistico stanno preparando le loro ricette.
Per la verità richiami alla disciplina di bilancio, alle politiche di austerità, a non allargare i cordoni della borsa (quale? e soprattutto a favore di chi?) non sono mai mancati.
Qualche giorno prima dell’esplosione in tutta la sua drammaticità dell’epidemia, il due volte direttore del Corriere della Sera, e attuale editorialista di quello che storicamente è il quotidiano di punta della borghesia imperialista, lamentava sul sito huffingtonpost.it la mancanza di coraggio dei governanti del Paese. Questi, secondo la sua visione, non sarebbero stati abbastanza decisi nell’imporre sacrifici alla popolazione. L’Italia, sempre secondo lui, avrebbe avuto dosi troppo leggere di austerità. Scelte più rigorose non erano più rinviabili.
Pochi giorni dopo si è scoperto in maniera brutale le falsità di queste affermazioni. Il sistema sanitario si è trovato a un passo dal collasso di fronte allo tsunami causato dal virus. Dieci anni di tagli alla sanità pubblica hanno avuto come effetto la scomparsa di decine di ospedali, migliaia di posti letto, numero insufficiente di posti in terapia intensiva, drammatica carenza di personale, distruzione del controllo sanitario a livello locale che, a detta di molti, avrebbe potuto mitigare gli effetti della pandemia. La totale privatizzazione delle Residenze Sanitarie per Anziani (Rsa) ha avuto come effetto una vera e propria ecatombe di decessi tra gli ospiti di queste strutture, con percentuali tra il 20 e il 50%.
Di fronte a questa situazione, il governo ha cercato di presentarsi alla popolazione con una maschera di benevolenza e comprensione. Alcune misure sono state prese per mitigare gli effetti economici del lockdown sulle classi popolari. Effetti inversamente proporzionali rispetto a quanto la propaganda governativa voleva far passare. Più questa parlava di misure eccezionali che non avrebbero lasciato indietro nessuno, più la realtà indicava il contrario: blocco dei licenziamenti solo di facciata e senza considerare i milioni di proletari con contratti di lavoro precari espulsi dal lavoro dalla sera alla mattina. Una cassa integrazione estesa anche alle piccolissime imprese, che però non copre che la metà del salario, e in molti casi non ancora realmente attivata. Senza contare il fatto che i lavoratori pagano per questo strumento, pensato in realtà per agevolare le imprese. Un ridicolo bonus di 100 euro una tantum per i lavoratori non interessati dal lockdown o dallo smart working, senza considerare l’aumento dei prezzi per i generi di base (alimentari, per dispositivi sanitati) che vanifica buona parte di questa elemosina.

 

La pietra filosofale di Confindustria

Come sempre nella storia, nei momenti di estrema difficoltà, quando la tenuta di un sistema politico ed economico è messa a rischio (guerre, carestie, pandemie varie), le classi dominanti fanno appello all’unità nazionale, per cercare di nascondere le loro colpe.
Su IlSole24Ore del 14 maggio è apparso un articolo redatto da Antonio Padoa Schioppa (fratello dell'ex ministro del centrosinistra, Tommaso, deceduto nel 2010) che stila una sorta di programma post crisi indirizzato alle classi dominanti.
È pubblicato in una delle pagine interne del quotidiano di Confindustria, non perché di secondaria importanza, ma appunto per il tentativo di non dare troppo risalto, per ora, a cosa mirino i padroni nei prossimi mesi. Il titolo è apparentemente neutrale, «Disciplina e rigore per aggredire il debito pubblico».
Partendo dalla considerazione che a fine anno, come ricordavamo, il rapporto debito-Pil salirà al 160%, rendendo molto complicato il suo pagamento, l’autore avanza tre proposte per risolvere il dilemma.
La prima di queste proposte comprende una serie di iniziative per recuperare almeno in parte l’evasione fiscale: idea meritoria se non fosse che la vera questione da affrontare è quella dell’elusione, modo che permette alle aziende di maggiori dimensioni (Fca, Ferrero, Mediaset tra le altre) di trasferire la sede fiscale in Paesi dell’Ue dove la tassazione dei dividendi distribuiti ai soci è molto vantaggiosa. È un tema di cui si parla solo quando si tratta delle multinazionali legate alle nuove tecnologie, come Amazon e Facebook. Ma se si tratta dei padroni tricolori, la questione è molto più sfumata. D’altronde non si può disturbare il manovratore.
La seconda riguarda un piano di investimenti per favorire la crescita della produttività delle aziende. È vero che le imprese italiane scontano ritardi e debolezze su questo tema, le cui cause non possiamo qui approfondire. Ci limitiamo solo a ricordare che è almeno dall’inizio degli anni Settanta del XX secolo che si assiste, a livello globale, a un rallentamento della crescita della produttività del lavoro, che va di pari passo con l’aumento degli investimenti lordi nel capitale fisso, quello che Marx chiama "riproduzione allargata del capitale". Vale per gli Usa che mantengono un predominio nel campo delle nuove tecnologie, e che non sono limitati nella loro azione economica in quelli che gli ideologici borghesi chiamano «lacci e lacciuoli», leggi diritti sindacali dei lavoratori. E vale anche per il Giappone che da decenni vede un ingente investimento statale senza che questo riesca a far salire la produttività. È una tendenza storica e mondiale.
Ora arriva un esperto, o presunto tale, che pensa di aver trovato la pietra filosofale che possa trasformare in oro i metalli meno nobili che zavorrano lo sviluppo del capitalismo nostrano. Buona fortuna.
Un intervento di questo tenore servirà solo a finanziare con soldi pubblici le aziende nazionali con l’obiettivo di renderle più solide e pronte a raccogliere le sfide della competizione capitalistica mondiale. Senza che però tutto questo possa migliorare di una virgola le condizioni di vita dei proletari impiegati in quelle aziende.
La terza proposta mira a rilanciare gli attacchi alla classe operaia. Citiamo testualmente: «blocco della spesa corrente, che dovrebbe risultare non eccessivamente traumatico in presenza di una inflazione molto bassa».
Fuori da un linguaggio asettico, si propone di riprendere e accentuare le politiche di tagli allo stato sociale: pensioni, sanità, trasporto pubblico, blocco salariale e, anche se non esplicitato, riduzione drastica dei dipendenti pubblici.
Tuttavia l’autore sorvola sul fatto che da oltre 20 decenni l’Italia registra un saldo tra entrate e uscite di bilancio, prima del pagamento degli interessi sul debito, positivo. E sorvola pure sul fatto che è stato anche a causa dei tagli al personale sanitario che la pandemia in Italia ha avuto i drammatici effetti che conosciamo. E che è a causa della cronica carenza di personale nella scuola pubblica, che la prevista ripresa delle lezioni in presenza a partire da settembre non potrà avvenire in sicurezza, in quanto gli alunni saranno ammassati in classi pollaio di 25 e passa studenti, perché mancano insegnanti.

 

Il tempo si incarica di diradare le nubi

È bene che noi tutti siamo consapevoli di ciò che ci aspetta alla fine della pandemia (fine che per il momento è ben lontana). È bene ricordarlo anche a quei cosiddetti intellettuali di sinistra che su Il Manifesto (sic!), quotidiano comunista (sic!), hanno redatto un appello di sostegno al premier Conte a alla maggioranza che lo sostiene. Insieme alla Cgil, finanziatrice del "quotidiano comunista", e a Landini, che gira i programmi tv per cantare le lodi del governo, si rendono fin da ora complici e responsabili dei sacrifici senza precedenti che verranno imposti ai lavoratori.
Il finale però non è ancora scritto e dipende anche da noi e da chi legge questo articolo. Come già accade in tante parti del mondo, anche in Italia i lavoratori possono ribellarsi a questo destino che ci vorrebbero imporre i padroni e il loro governo. Già nelle scorse settimane, non dimentichiamolo, sono stati gli operai a fermare tante fabbriche, scavalcando le burocrazie sindacali. Possono farlo ancora.
La stessa fase 2 di "convivenza col virus" decisa da Conte rivelerà i suoi tragici effetti a breve. Quando nelle prossime ore si vedrà che, terminato il blocco parziale, centinaia di migliaia di posti di lavoro spariranno, che a settembre con il varo della manovra di bilancio ci verrà chiesto di restituire con gli interessi le briciole che ci hanno dato, sarà chiaro che solo con le mobilitazioni, solo con una lotta senza quartiere dei lavoratori contro il capitale, si potrà scrivere un seguito diverso a questa storia.

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