di Alberto Madoglio
I fatti ci stanno dando ragione: tra luglio (manovra correttiva) e settembre, l’esecutivo guidato da Romano Prodi si appresta a varare provvedimenti finanziari per oltre 40 miliardi di euro. Qualcosa di paragonabile soltanto alle finanziarie del centrosinistra negli anni Novanta: in particolare a quella del 1992, premier Amato, di 90 mila miliardi di lire: una manovra che diede il via a una serie di attacchi al salario e allo stato sociale a danno delle classi subalterne del Paese.
Il ministro dell'Economia, Padoa Schioppa, è stato molto chiaro nel presentare i dati di bilancio. Il deficit di bilancio per il 2006 è ampiamente sopra i parametri di Maastricht (4,5% del PIL contro un tetto previsto del 3%), il debito pubblico dopo anni in cui era diminuito ha ricominciato a salire (108% del PIL), e l’avanzo primario (differenza tra entrate e uscite al netto del pagamento degli interessi sul debito pubblico) è ormai prossimo allo 0% dopo che i primi governi di centrosinistra l’avevano portato al 5%. Con queste cifre bisogna fare i conti: o meglio, li dovranno fare i lavoratori.
Tagli a sanità e pensioni, blocco del rinnovo del contratto per i dipendenti statali, aumento dell’Iva (imposta regressiva che colpisce maggiormente i redditi più bassi), tagli agli Enti locali (i quali a loro volta dovranno aumentare le imposte di loro competenze e ridurre ulteriormente i servizi pubblici già falcidiati in passato: sanità, trasporti, asili ecc.), "moderazione salariale" (cioè aumenti inferiori all’inflazione reale).
Davanti a questa situazione che delinea ancora una volta il carattere di classe antioperaio del governo dell’Unione, sindacati e sinistra, soggetti che “dovrebbero” tutelare gli interessi dei più deboli, confermano una volta di più il loro carattere subalterno sia verso Prodi sia verso le richieste della grande borghesia.
Epifani, segretario Cgil, in una intervista al Sole 24Ore dei giorni scorsi, alle domande del giornalista che chiedeva cosa pensasse delle proposte avanzate dal governo, ammetteva candidamente la propria disponibilità a trattare su tutto, preannunciando anche la disponibilità ad accettare una politica di sacrifici come quella che elencavamo sopra. Non solo: suggeriva anche al governo una certa cautela nel rendere pubblici i propri intendimenti, per evitare di creare il panico tra lavoratori e pensionati... Cioè, invece di denunciare l’ennesima rapina a danno dei più deboli, e annunciare immediatamente una mobilitazione di massa contro il governo, ha proposto a quest’ultimo di mantenere un profilo basso, per evitare di incappare in guai seri. Quando si dice agente della borghesia infiltrato tra la classe operaia!
Ma il massimo è stato raggiunto dagli articoli di due dirigenti del Prc, Alfonso Gianni e Giorgio Cremaschi, rappresentanti del partito di governo e di lotta.
Il primo, sottosegretario allo Sviluppo Economico, su Liberazione del 10 giugno scrive che la manovra correttiva non è necessaria, che il debito pubblico può essere “stabilizzato” invece che ridotto, e che per il deficit di bilancio si può pensare di rientrare nei parametri di Maastricht in tempi più lunghi.
Il secondo, sempre sul quotidiano del Prc, imposta l’articolo seguendo lo stesso filone del suo collega di partito: Prodi sarebbe dovuto andare a Bruxelles e rivendicare tempi lunghi per rientrare nei parametri contabili previsti in sede europea. A sostegno di questa richiesta avrebbe potuto dire che la Commissione Europea aveva poco tempo prima avallato i conti presentati dal duo Berlusconi-Tremonti e ora dovrebbe dimostrare la stessa indulgenza verso i nuovi inquilini di Palazzo Chigi.
Perché non lo fa? Per paura, dice Cremaschi. Insomma: pazienza e coraggio, ecco quello che manca a Prodi.
Se non stessimo parlando di due leader di un partito che ha la sfrontatezza di usurpare il termine comunista, verrebbe da sorridere.
In verità queste posizioni dimostrano la totale bancarotta politica del Prc e evidenziano il ruolo di “stampella di sinistra” alle politiche filo-borghesi che il partito di Bertinotti ha oramai definitivamente intrapreso.
Bruxelles e il buco di bilancio sono una scusa. Il governo Prodi ha ambizioni maggiori.
Il programma col quale ha vinto le elezioni è il manifesto di una politica che ha come unico obiettivo quello aiutare la borghesia italiana a reggere la sfida della competizione tra le varie potenze imperialiste per ridefinire gli equilibri a livello mondiale.
Per far ciò è necessaria una politica che consenta alle imprese italiane di aumentare la loro dimensione (troppo ridotta rispetto a quella delle maggiori multinazionali delle altre potenze imperialiste) e i profitti. Il tutto, ovviamente, a danno dei lavoratori.
Le due manovre finanziarie sono solo una parte di questo progetto generale più ampio.
A questo progetto più ampio, a questo attacco feroce contro i lavoratori, bisogna allora dare una risposta diversa: non i consigli a Prodi e alla borghesia su come fare meglio un lavoro che sanno fare benissimo (rapinare i lavoratori) ma una risposta di lotta di classe.
Evidenziando infine (questo il senso di un programma transitorio, cioè rivoluzionario) che nessun parlamento o governo borghese potrà porre in atto queste misure: solo una lotta dei lavoratori e dei giovani, studenti e disoccupati, avente come fine ultimo l’abbattimento della società capitalistica, permetterà nell'immediato di fermare l'attacco anti-operaio e persino di guadagnare, come sottoprodotto della lotta, dei risultati immediati.