Un governo della borghesia per la borghesia, questo è stato il governo Prodi. Un governo che con maggiore determinazione del precedente è proteso a risanare debito e deficit pubblico e rilanciare il capitalismo italiano nei mercati internazionali. Nel portare a termine questo impegno, che comporta lacrime e sangue per i lavoratori e nuove spedizioni imperialiste, il governo ha bisogno per tutta una fase del coinvolgimento delle sinistre riformiste e dei maggiori sindacati.
L'"incidente" numerico su cui è scivolato il governo al Senato non ha modificato il quadro politico, anzi ha permesso a Prodi di presentare un patto di ferro in dodici punti per la governabilità agli alleati dell’Unione: dodici punti che riportano all'essenziale le trecento pagine di aggettivi del programma.
Le condizioni sono state presentate il 22 febbraio al vertice dell'Unione a Palazzo Chigi, che si è concluso con l'approvazione delle richieste di Prodi da parte dei leader dei partiti della coalizione. Il vertice, c’è appena bisogno di dirlo, ha registrato la totale capitolazione ai liberali di tutta la sinistra di governo.
Sulla base di questi dodici punti, “prioritari e non negoziabili”, il governo ha ottenuto la fiducia il 28 febbraio al Senato, non solo da parte di tutti i partiti dell’Unione, ma anche dei senatori Turigliatto, Rossi e Follini, cioè dalla sinistra centrista e dichiaratamente ex trotskista, al centro cattolico e conservatore.
Il primo dei punti non lascia dubbi: finanziamento delle missioni militari (a partire dall'Afghanistan), permanenza nella Nato e allargamento della base militare Usa a Vicenza. Anzi, tutta la politica estera “multilaterale” svolta in questi dieci mesi dall’imperialismo italiano subisce un’accelerazione: “sostegno costante alle iniziative di politica estera e di difesa stabilite in ambito Onu e ai nostri impegni internazionali, derivanti dall'appartenenza all'Unione Europea e all'Alleanza Atlantica, con riferimento anche al nostro attuale impegno nella missione in Afghanistan. Una incisiva azione per il sostegno e la valorizzazione del patrimonio rappresentato dalle comunità italiane all'estero”. Superfluo qualsiasi commento esplicativo: è tutto fin troppo chiaro.
Non meno esplicito è il governo in tema di politiche sociali, punto ottavo, nel prendere di mira ancora una volta le pensioni pubbliche attraverso il “riordino del sistema previdenziale con grande attenzione alle compatibilità finanziarie” e “razionalizzazione della spesa che passa attraverso anche l'unificazione degli enti previdenziali”. L’obiettivo dichiarato è l’aumento dell’età pensionabile (gli scalini di Damiano al posto dello scalone di Maroni) e la revisione dei coefficienti di trasformazione, tagliando i rendimenti pensionistici di un’ulteriore 6-8%.
Altri punti confermano la rapida realizzazione della Tav, terzo punto che assicura la “rapida attuazione del piano infrastrutturale e in particolare ai corridoi europei (compresa la Torino-Lione); una nuova ondata di liberalizzazioni e privatizzazioni, quinto punto; infine una “concreta e immediata di riduzione significativa della spesa pubblica” nei settori dei servizi sociali, della Sanità e della Scuola pubblica, settimo punto.
I restanti punti recuperano l’investitura plebiscitaria avuta da Prodi con le primarie: all’undicesimo punto il premier “assume il ruolo di portavoce dell'esecutivo” e al dodicesimo “l'autorità di esprimere in maniera unitaria la posizione del governo stesso in caso di contrasto”. Un ruolo quasi bonapartista, specialmente in presenza di maggioranze parlamentari variabili su vari temi.
Va da sé che nei dodici punti non c’è posto per un lavoro garantito e sicuro ai disoccupati e ai precari, per la riduzione degli infortuni e delle malattie professionali, per la dignità dei lavoratori immigrati, per i servizi sociali e una pensione pubblica dignitosa, per una scuola e una sanità pubblica. O meglio: proprio queste esigenze sociali costituiscono l'obiettivo da abbattere.
Tutto questo avviene dopo dieci mesi di politiche – di cui la Finanziaria è l'espressione finale – a favore dei grandi gruppi industriali, contro i lavoratori: attacco alle pensioni, con lo scippo del Tfr e l'avvio dei fondi pensione; aumento delle spese militari; liberalizzazioni e privatizzazioni; lavoro precario e politiche di esclusione per gli immigrati; privatizzazione della Scuola pubblica.
I dodici punti di Prodi sono un proclama di attacco ai lavoratori e ai giovani che hanno manifestato in questi mesi contro le missioni e l'aumento delle spese militari, contro la base di Vicenza, contro la Tav, a difesa delle pensioni, per i diritti civili e la difesa dell'ambiente (contro la privatizzazione dell'acqua, ecc.).
E' il riassunto del programma con cui si vuole far pagare la crisi economica e politica del capitalismo ai lavoratori.
Per contrastare questo proposito, il Partito di Alternativa Comunista ritiene necessario avviare un percorso unitario, con tutte le forze della sinistra e sindacali che in questi anni si sono mobilitate in difesa delle ragioni dei lavoratori, per costruire una reale opposizione di massa che abbia al centro la difesa dei diritti, delle tutele e del salario dei lavoratori, delle condizioni di vita delle masse popolari, l’opposizione alla guerra imperialista e la solidarietà ai popoli oppressi.
Il rafforzamento del PdAC in questo percorso è garanzia di opposizione ai governi di centrodestra e di centrosinistra, di lotta anticapitalista per il socialismo.