Sulle grandi mobilitazioni dell'8 e del 15 marzo
Intendiamo, piuttosto, rivolgerci sia alle centinaia di migliaia di donne e giovanissimi che sono scesi in piazza in quei giorni, sia ai lavoratori e alle lavoratrici dei sindacati e dei coordinamenti di lotta a cui partecipiamo o con cui collaboriamo.
Lo sciopero internazionale dell'8 marzo è stato lanciato dai movimenti femministi di tutto il mondo. In diversi Paesi, i sindacati conflittuali lo hanno sostenuto e organizzato. Anche in Italia, quest'anno, quasi tutti i sindacati conflittuali e autonomi hanno deciso di proclamarlo, mentre le grandi burocrazie hanno preferito ignorarlo (benché con molte contraddizioni interne: alcune realtà di fabbrica e locali della Cgil hanno deciso comunque di chiamare allo sciopero su pressione della loro base). E' stato probabilmente lo sciopero più riuscito da quando è in carica il nuovo governo. Soprattutto, la giornata dell'8 marzo è stata caratterizzata da grandi manifestazioni in decine di città: migliaia di donne, tantissime di loro giovani e giovanissime, hanno animato i cortei al grido di “via Salvini” e “No al decreto Pillon”.
A noi è da subito sembrato doveroso, per non dire scontato, partecipare attivamente alla costruzione di questa giornata di sciopero e mobilitazione (1): come non farlo di fronte a un governo che cerca di riportare le donne a condizioni di subordinazione peggiori di quelle degli anni Cinquanta del secolo scorso (si pensi al decreto Pillon o al lavoro fino al nono mese in gravidanza) e che le umilia quotidianamente con frasi maschiliste ostentate dall'alto dei principali scranni ministeriali? Come non essere in prima linea l'8 marzo, quando è sempre più pesante il ricatto che le donne subiscono nel mondo del lavoro, dalle discriminazioni in entrata (se hai intenzione di far figli scordati di essere assunta... alla faccia dell'ipocrita elogio della “famiglia”!) alle continue molestie subite in silenzio per il timore di perdere il salario? Come non rendersi conto che l'aumento vertiginoso dei femminicidi è un problema sociale, espressione di un capitalismo sempre più disumano?
Tuttavia, abbiamo dovuto constatare che, nelle organizzazioni del movimento operaio, comprendere l'importanza dell'8 marzo non era un fatto scontato. Questo in parte è indice di quanto il maschilismo sia ancora radicato nella nostra classe: un problema che va affrontato con un intervento al contempo deciso e paziente, al fine di contrastare un fattore divisivo interno che ostacola la costruzione stessa della lotta di classe (evitando separatismi o ultimatismi sciocchi o controproducenti, non a caso tipici del femminismo borghese).
Qualcuno ha minimizzato le piazze dell'8 marzo utilizzando invece argomenti, apparentemente, “di sinistra”, che si possono così riassumere: quelle contro la violenza di genere sono mobilitazioni e manifestazioni “interclassiste”, quindi estranee alla classe operaia. E' un argomento che non regge. Se è vero che la violenza e i femminicidi sono fenomeni che incidono sulle condizioni di vita delle donne di tutte le classi – inclusa la classe dominante – ciò non toglie che siano anzitutto le donne proletarie a subirne gli effetti principali, proprio perché, a differenza delle donne borghesi, non hanno a disposizione mezzi economici per tutelare la propria sicurezza e la propria vita; anzi, spesso non hanno nemmeno un briciolo di indipendenza economica dagli uomini violenti che le tengono, in casa o nel luogo di lavoro, sotto scacco. Non è un caso che anche organizzazioni di per sé non classiste (come Nudm in Italia) siano state indotte a far propria la bandiera dello sciopero: proprio perché le donne che sentono l'esigenza di lottare contro la violenza maschilista sono anzitutto e soprattutto le donne della nostra classe (cioè quelle che possono organizzare o aderire a uno sciopero).
Non solo quindi le organizzazioni del movimento operaio dovevano essere in quelle piazze: ma dovevano esserci con maggior forza, portando le loro parole d'ordine e le loro piattaforme.
L’8 marzo è stato subito seguito dalle gigantesche mobilitazioni del Global strike for future. L'Italia è stato uno dei Paesi che ha visto una massiccia partecipazione di giovani (spesso giovanissimi) studenti nelle strade e nelle piazze: erano anni che non si vedevano manifestazioni studentesche di tale ampiezza. Siamo consapevoli del fatto che non si è trattato, in molti casi, di mobilitazioni “spontanee”: come risulta evidente dagli spazi che in Italia i mass media borghesi hanno concesso a questa giornata internazionale a difesa dell'ambiente (e, in generale, alla battaglia coraggiosa di Greta Thunberg), i partiti borghesi del centrosinistra (Pd in testa) hanno pensato di cavalcare la protesta giovanile per cercare di guadagnare consenso e tentare di “rifarsi la faccia” dopo anni di vergognose politiche padronali (siamo infatti alla vigilia di una nuova tornata elettorale). Non è un caso che nelle città amministrate dal centrosinistra i sindaci si siano fatti fotografare in piazza e numerose giunte si siano attivate per promuovere le iniziative di quel giorno. Una presenza squallidamente ipocrita: il Pd è un partito che, da sempre, rappresenta gli interessi dei grandi gruppi capitalistici di casa nostra, Fiat (ora Fca) in testa, cioè dei principali responsabili dell’inquinamento e degli stravolgimenti climatici.
Ma, al di là di questi tentativi di strumentalizzazione, è un dato di fatto che la protesta è andata ben oltre le intenzioni di questi partiti: in tantissime scuole gli studenti si sono organizzati da soli, promuovendo iniziative di sciopero e cortei indipendenti. Gli slogan urlati nelle piazze, invase da centinaia di migliaia di giovani, non erano solo slogan ambientalisti: erano slogan contro il governo, contro il Tav e le grandi opere inutili, con collegamenti espliciti alla manifestazione del 23 marzo a Roma (osteggiata invece dal PD, che difende a spada tratta il Tav in ossequio agli interessi dei grandi investitori), contro lo sfruttamento e persino contro il sistema capitalistico.
Noi in quelle piazze c'eravamo per avanzare l'unica proposta in grado di rispondere alle esigenze di chi vuole salvare il Pianeta dalla devastazione ambientale: l'abbattimento del capitalismo e la costruzione di un'economia collettiva socialista (2).
Vogliamo concludere questo articolo con alcune brevi considerazioni generali. Come devono porsi le organizzazioni del movimento operaio e, soprattutto, i rivoluzionari di fronte ai movimenti che avanzano rivendicazioni democratiche o ambientaliste e non strettamente classiste?
Per rispondere agli argomenti di chi guarda con diffidenza a questo tipo di mobilitazioni – argomenti ahinoi talvolta sostenuti anche da alcuni sedicenti “comunisti” o “rivoluzionari” - basterebbe cimentarsi in un semplice “gioco”: cerchiamo nella storia un qualsiasi movimento di massa che si sia sviluppato a partire da motivazioni e una composizione esclusivamente classiste. Sfidiamo chiunque a trovarlo: non ci riuscirete. Persino le rivoluzioni, che rappresentano il momento più alto della lotta di classe, non hanno mai avuto un carattere esclusivamente classista: la rivoluzione francese è stata, addirittura, involontariamente, innescata dalla richiesta dell'aristocrazia di convocare gli Stati generali; il movimento rivoluzionario in Russia ha preso il via nel 1905 da una petizione allo zar organizzata da un prete; nello stesso Paese nel 1917 è stato uno sciopero delle donne, sciopero inizialmente sottovalutato persino dai bolscevichi, a dare il via alla più grande rivoluzione della storia. Ma si potrebbe andare avanti a lungo con gli esempi.
Le lotte, quando esplodono in una situazione di crisi economica e sociale, come ben sa chi vi partecipa (non pretendiamo che lo sappiano i frequentatori dei salotti televisivi...) sono sempre confuse, disordinate, per certi versi contraddittorie. E sta anche qui l'importanza dell'intervento massiccio del movimento operaio in queste lotte. La classe operaia e le sue organizzazioni devono assumere le rivendicazioni democratiche (come quelle contro le oppressioni, dal razzismo al maschilismo alla lgbtfobia) all'interno dei loro programmi e devono partecipare attivamente alle mobilitazioni su questi temi, prendendone la direzione. Al contempo, nei movimenti delle donne, degli immigrati, degli lgbt, in quelli a difesa del territorio e del clima, occorre contrastare con fermezza i tentativi di limitare o rendere invisibile la presenza di organizzazioni (sindacati e partiti) del movimento operaio (pensiamo alla frequente polemica contro la presenza in piazza di bandiere di partito o sindacato).
Mantenere separate le lotte sindacali da quelle contro le oppressioni e a difesa dell’ambiente non serve a nulla, o meglio, serve solo ai capitalisti. Solo se sapremo unire le mobilitazioni delle donne contro la violenza maschilista, le lotte contro il razzismo e le battaglie a difesa dell'ambiente alle battaglie della classe operaia, potremo vincere. A tutto vantaggio dei lavoratori e della salute del Pianeta.
(1) Rimandiamo alla lettura sul tema degli articoli pubblicati sul nostro sito: www.alternativacomunista.it/doppia-oppressione-/verso-l-8-marzo; /www.alternativacomunista.it/doppia-oppressione-/8m-sciopero-anche-in-italia; www.alternativacomunista.it/doppia-oppressione-/contro-il-decreto-pillon-con-una-risposta-di-classe.
(2) Qui il volantino del Pdac per la giornata del 15 marzo: www.alternativacomunista.it/internazionale/la-difesa-dell-ambiente-non-%C3%A8-un-problema-di-coscienza-%C3%A8-un-problema-di-classe